Anche i “nuovi italiani” sono campioni d’Europa? I campionati di calcio visti dai bambini

Anche i “nuovi italiani” sono campioni d’Europa?  I campionati di calcio visti dai bambini

Come lo scorso anno, a Laurentino 38, i ragazzi della Scuola della Pace, doposcuola gratuito della Comunità di Sant’Egidio, hanno organizzato un recupero estivo per i tanti bambini rimasti indietro per via dei lockdown che si sono susseguiti. Segue un racconto/riflessione sugli Europei di calcio e sui “nuovi italiani”.

“Tu sei Chiesa, io Immobile e tu Insigne”. Per il campo serve poco: un Super Santos e due borracce a fare i pali. Il mini Europeo è pronto. “Siamo campioni d’Europa” – urlano. “Siamo” – ripeto io a mente, sorridendo tra me e me.

La palla corre tra i piedi di Ahmed, Andrei e Gaeus, mentre il pomeriggio caldo scende lento sul dopopranzo della Scuola estiva di Laurentino. Sei piedi e tre storie iniziate lontano si intrecciano come su un tabellone sportivo. Bangladesh, Romania e Filippine. Qualcuno di loro mastica ancora l’italiano, qualcuno lo padroneggia, qualcuno è nato in Italia, qualcuno vi è cresciuto. Nessuno di loro ne è cittadino.

Eppure, a sentirli urlare i nomi dei loro idoli, con le loro magliette dell’Italia, con quella voglia matta di continuare a guardare una partita che finirà oltre il loro solito orario della buonanotte, come fai a dirgli che quel “siamo”, una volta cresciuti, assumerà un significato diverso? Che, se va bene, sarà ritirato fuori solo per qualche evento sportivo? “Di dove sei tu?” – avevo sentito chiedere ad Ahmed una volta. “Io sono italiano”, aveva risposto lui – 8 anni – senza troppo pensarci, salvo aggiungere dopo, di fronte allo sguardo interrogativo dell’interlocutore, “ma i miei genitori sono del Bangladesh”.

“Niente unisce come il calcio”, sentiamo spesso. E difatti abbiamo festeggiato tutti insieme per le strade, la gioia esplosa dopo un anno chiusi in casa; i clacson fino a tarda notte, le bandiere appese alle antenne delle macchine, gli sguardi di intesa con gli sconosciuti. Il giorno dopo, noi grandi, abbiamo perso gli ultimi residui di voce urlando la nostra gioia con i bambini, mentre qualcuno di loro intonava un inno che non è quello dei loro padri, ma in fin dei conti, nemmeno il loro. “Io sono italiano” – aveva detto Ahmed con naturalezza; “è qui che sono cresciuto, ed è qui che vado a scuola” – avrebbe potuto aggiungere. Adesso, per loro non conta molto – potremmo dire. Ma una volta cresciuti? Italiani? Stranieri? Italiani di Serie B? Stranieri di un campionato a parte? Ripenso al calcio: un rettangolo semplice, regole chiare. Ma anche le regole cambiano, si adattano ai nuovi tempi: golden gol no, fuorigioco sì, silver gol no, VAR sì. Allora, una volta finita l’euforia di questi Europei, non scordiamoci di cambiare anche le nostre, di regole. Non scordiamoci dei tanti Ahmed, Andrei e Gaeus, che nei tanti campetti d’Italia sognano solo di non rimanere in fuorigioco. Di poter esultare e dire “siamo campioni” senza quella velata amarezza. Di poter dire “io sono italiano” senza aggiungere altro.  

Gabriele Rizzi

Classe 1996, maturità classica, Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, giornalista pubblicista. Mi interesso soprattutto di storia antica e recente, con particolare riferimento a quella del quadrante Sud di Roma, spesso ignorato ma ricco di tesori e di storie nascoste.

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