Misteri di Roma: la porta alchemica

C’è una porta a Roma attraverso la quale nessuno è mai passato. Per la quale nessuno è mai entrato o uscito. Almeno per centocinquant’anni. Quello che una volta era un ingresso, parte di una villa allora in aperta campagna e fuori dalle mura di Roma – Villa Palombara – si trova oggi a ridosso di un muro. Stiamo parlando di una delle porte più misteriose di Roma, un monumento che secondo la leggenda nasconderebbe un segreto che potrebbe fare la fortuna di chiunque ne capiti in possesso, la Porta Alchemica. La leggenda narra infatti che i misteriosi simboli che vi sono incisi (ai lati e sul frontone), una volta decifrati, renderebbero il fortunato – e arguto – decifratore in grado di tramutare i comuni metalli in oro. Se qualcuno dei lettori sta pensando al primo libro di Harry Potter, non è andato troppo lontano; difatti, questa è una delle proprietà attribuite alla Pietra Filosofale, per secoli obiettivo degli alchimisti, studiosi che dedicarono la propria vita a scoprire i segreti della fisica, della chimica e della metallurgia.
Una disciplina, l’alchimia, che sarebbe scomparsa con il nuovo approccio alla scienza basato sul metodo scientifico, ma che per la sua natura misteriosa continua ad affascinare le persone, oggi come ieri, quando ad esserne colpiti erano soprattutto i potenti. Difatti, se la leggenda narra che i simboli sarebbero stati copiati dal proprietario della villa, il marchese Palombara, basandosi sui fogli ritrovati nel suo giardino e lasciati da un alchimista poi sparito proprio attraverso la porta, in realtà tali iscrizioni furono lì poste dal nobile con l’aiuto di Francesco Giuseppe Borri, il presunto fuggitivo che frequentò per anni la residenza. Lo stesso marchese era stato introdotto all’alchimia da Cristina di Svezia, appassionata di questa scienza esoterica e promotrice dell’Accademia dell’Arcadia.
Attualmente la porta, unica sopravvissuta delle cinque originali della Villa, si trova a cinquanta metri dalla sua posizione iniziale, presso Piazza Vittorio, ora che quella che una volta era campagna, oggi è pieno centro di Roma. Non è stata ancora decifrata. Per chi ci volesse provare, le iscrizioni sono lì: simboli egizi, astrologici e motti latini. Ma forse, una vera risposta non si troverà mai. E allora meglio seguire il consiglio di una delle epigrafi che si trovavano nella villa: Cum solo sophorum lapis non sale et datur sole sile lupis (accontentati del solo sale – il sapere – e del sole – la ragione).

Di Gabriele Rizzi

Gabriele Rizzi

Classe 1996, maturità classica, Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, giornalista pubblicista. Mi interesso soprattutto di storia antica e recente, con particolare riferimento a quella del quadrante Sud di Roma, spesso ignorato ma ricco di tesori e di storie nascoste.

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