Stefano Mangullo: “La storia c’insegna, ma non è detto che si ripeta”

Stefano Mangullo, storico e ricercatore, nonché curatore del catalogo della mostra “Gramsci e la Grande Guerra” all’Archivio Centrale dello Stato e del percorso tematico della stessa, ci ha rilasciato un’intervista nella quale ci ha parlato dell’importanza della continuità tra l’opera giornalistica e politica di Gramsci e i suoi scritti dal carcere fascista. Un quadro che ci aiuta dunque a ricostruire non solo la figura dell’uomo che ha redatto questi documenti, ma anche della società italiana prima e dopo la Guerra, argomento piuttosto ignorato, ma essenziale per ricostruire il passaggio dalla prima Italia liberale a quella mussoliniana. D: Lo scopo di questa mostra è quindi quello di dare una visione differente della Grande Guerra al pubblico, legata più al sociale e alla politica, anche grazie alle testimonianze che ci hanno lasciato le fonti giornalistiche e Gramsci?

R: Questa iniziativa s’inserisce nell’ambito di tutte quelle già fatte quest’anno e che si faranno in occasione non solo del centenario della Grande Guerra, ma anche dell’ottantesimo anniversario dalla morte di Antonio Gramsci. Lo scopo di questa mostra è quello di analizzare non solo le opinioni di questo giovane studente, militante politico, nel suo rapporto con i vari giornali e le forze non socialiste del tempo, ma anche per sottolineare il filo conduttore che vi è tra questo suo pensiero e queste riflessioni con i famosi Quaderni del carcere.

D: Pensando quindi ai parallelismi che fanno molti con la società del primo dopoguerra con quella di oggi, in forte crisi, si può attraverso questo lavoro sottolineare le differenze e le similitudini che corrono tra queste due?

R: Da storico ritengo difficile fare un accostamento del genere, anche se studiare il passato di aiuta a riflettere sul presente. E’ interessante notare come i socialisti all’epoca fossero a favore dell’abbattimento delle barriere doganali, voluto dal presidente americano Wilson, mentre oggi ci sta un vero e proprio revival del protezionismo con Trump, a distanza dunque di 100 anni.

D: E questo ci fa tornare alla mente la contrapposizione tra l’autarchia fascista e la volontà dei socialisti di aprire le frontiere sia economiche sia culturali…

R: Certamente. Già allora vi era l’obiettivo di un’economia globale, che non fosse limitata alla nazione, come misura di coesione anche sociale tra i vari Stati.

D: Insomma, studiare il passato per capire il presente?

R: Più che “capire” il presente io preferisco il verbo “riflettere”. Una persona che oggi legge ciò che è successo nel passato dovrebbe non trarre conclusioni da esso, ma piuttosto usarlo come piattaforma critica per poter poi comprendere ciò che succede oggi e reagire anche a situazioni analoghe.

D: Perfetto. La ringrazio a nome dell’Associazione Cento Giovani per l’intervista concessaci. Arrivederci!

R: Di nulla! Arrivederci!

Di Simone Pacifici

Simone Pacifici

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