Il gene supera l’aratro!

Il 28 marzo si è tenuta a Padriciano (Trieste) la Conferenza degli addetti scientifici presso l’ICGEB International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology italiano.
L’ICGEB è un’organizzazione internazionale intergovernativa che opera nel campo della genetica molecolare e delle biotecnologie. Il Centro è sostenuto da oltre 60 Paesi e sviluppa ricerche innovative in ambito biomedico, farmaceutico e ambientale. Per quanto riguarda il settore primario dell’economia mondiale, si è ribadito che, nell’ambito dell’agricoltura, l’ingegneria genetica (branca della biologia nata dalla confluenza di genetica e biochimica) promette di risolvere ancora molti dei problemi legati all’aumento demografico ed alle aumentate esigenze dell’umanità.
È vero che in Italia come altrove tali ricerche generano perplessità ma forse si tratta di residue resistenze legate alla relativa novità del campo rispetto al quale non si hanno ancora diffuse conoscenze.
A Trieste si è parlato, nuovamente, di un grano capace di captare l’azoto dell’atmosfera, trasformandolo in nitrato: si potrebbe così fare a meno definitivamente dei fertilizzanti ed evitare ulteriori danni da inquinamento. Una pianta da frutta che “essudi tossine” renderebbe inutili insetticidi e pesticidi. Cereali capaci di crescere in terreni aridi, senz’acqua, al freddo. Un mais con più proteine che eliminerebbe la carne dall’alimentazione. E ibridi, piante del tutto nuove: il pomato (i pregi della patata uniti alla maggiore resistenza alle malattie dei pomodori), il sol fagiolo (il fagiolo unito al girasole), ecc.
È la terza rivoluzione agricola, che segue quella lontanissima del neolitico e la “rivoluzione chimica” del Novecento, quando nacquero appunto fertilizzanti e pesticidi.
A rendere inevitabile questa terza grande svolta nella storia dell’agricoltura anche in Europa (depositaria di tradizioni, di abitudini e mentalità antiche) è un’altra “rivoluzione” rappresentata dall’ingegneria genetica, la possibilità di “cambiare il vivente” attraverso la manipolazione di geni e cromosomi. Il traguardo della pianta che si auto fertilizza è forse il più affascinante. Si tratta di ripetere il miracolo che esiste in natura, per esempio per le leguminose, sulle cui radici vivono batteri che sono assorbiti dalla pianta ospite come “nutrienti”, senza fatica per l’uomo od uso di fertilizzanti. La via per ottenere questo nuovo grano (o mais o canna da zucchero) è già aperta: basta prendere dai batteri un gene o i geni che fissano l’azoto e reinserirli col processo del “DNA ricombinante” – ingegneria genetica- nel corredo genetico delle piante che si vogliono modificare. Ne è sempre stato convinto M. Nabors, docente di botanica e di patologia vegetale all’Università di Colorado e nel Convegno sono stati ricordati i suoi studi.
Qualcuno contesta che l’ingegneria genetica sia un artificio dell’uomo. Sembrerebbe, in realtà, esserlo della natura. Con un altro nome, quello di selezione naturale, la natura ha ottenuto in millenni lo stesso risultato. Tra la natura e l’ingegneria genetica la differenza è quantitativa quindi, più che di qualità. La natura impegna esemplari a milioni e milioni, usa i tempi lunghi dei secoli. Rispetto all’evoluzione l’ingegneria genetica va di corsa, opera su pochi casi ed è subito avida di risultati. La paura è una: quale scotto si pagherà se l’intelligenza umana continuerà a sottrarre alla natura i suoi segreti? Il mostro creato dalla manipolazione dei geni ad opera di uno “scienziato pazzo” (o del gene impazzito sfuggito ala controllo dello scienziato savio?).
Se non si è potuto tornare indietro dalla macchina a vapore e dal telaio meccanico, non si può farlo dalle scoperte del progresso tecnologico. L’ingegneria genetica e le biotecnologie dinanzi alla paura hanno optato di rischiare ed offrire in tempi brevi più medicine, alimenti e più comfort al genere umano.

Di Ivan Moi, studente dell’Istituto “Calo Urbani” sede di Acilia

Redazione

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