Deposito e confinamento delle scorie nucleari

Nonostante le frequenti, ripetute rassicurazioni dei vari Ministri dell’Ambiente succedutisi negli ultimi governi italiani, le polemiche dell’Anci (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani) e dei Sindaci dei comuni italiani con servitù nucleari continuano. Le riunioni della Consulta dei Comuni interessati si succedono dalla scorsa estate.
La richiesta al governo è di mantenere il 2025 come data per la realizzazione definitiva del deposito nazionale delle scorie radioattive.
Ma come si realizza questo deposito? Innanzitutto, bisogna distinguere tra deposito e confinamento delle scorie. Comunemente ed in buona fede si tende a confondere le due cose che, in realtà, sono abbastanza diverse. L’operazione di deposito riguarda “rifiuti” nucleari a bassa e media attività che, opportunamente trattati, vengono sigillati in bidoni metallici di circa 200 litri e destinati al deposito in zone geologicamente sicure. L’opportuna sistemazione di queste scorie nucleari, che sono le più voluminose ma relativamente poco pericolose, ha dato luogo ad un dibattito internazionale e, se pur con difficoltà, tra non molto si dovrebbe giungere, finalmente, ad una proposta congiunta delle Nazioni interessate.
L’operazione di confinamento riguarda, invece, i residui ad elevata attività che sono molto pericolosi ma fortunatamente poco voluminosi. Per avere un’idea del rapporto, basti pensare ad una centrale da 1000 MW produce in un anno di attività circa 3000 bidoni di materiale destinato al deposito, contro non più di 2 metri cubi di scorie destinati al confinamento. Esso consiste nella destinazione definitiva di materiale che per nessuna ragione deve venire a contatto con l’ambiente naturale, pena l’inquinamento radioattivo, più o meno grave, ma sempre pericolosissimo.
Nella mente dei non addetti ai lavori le tecniche per il confinamento sono qualcosa di fantascientifico e pericoloso. Dopo anni di diatribe, tra fisici nucleari ed ingeneri nucleari, sembra ovunque accettato il metodo di dell’incorporazione delle scorie in cilindri di vetro speciale, sigillati in custodie di acciaio inossidabile, per il definitivo deposito sotto terra, a grande profondità, in zone geologicamente sicure e molto ampie.
La pericolosità e, ancor di più, la durata nel tempo del rischio di inquinamento radioattivo, sono sempre addotte dagli oppositori come ragioni per l’abbandono della via nucleare.
Il discorso non fa grinze se considerato in assoluto, comincia a farne, invece, se si considera il rischio di inquinamento nucleare in rapporto alla certezza inquinante di altri metodi più tradizionali di produzione di energia.
Facendo, infatti, confronti e calcoli sui dati annui dell’inquinamento di una semplice centrale termoelettrica a carbone italiana, ad esempio, qualunque discorso circa l’illusorietà dell’energia pulita si esaurisce.
Nonostante ciò, l’ENEA (Ente nazionale per le ricerche e lo sviluppo dell’energia nucleare e delle energie alternative) che ha il compito di qualificare l’industria italiana nel settore energetico, dal 1982 continua a svolgere una preziosa attività di ricerca, di sviluppo e promozione industriale nell’ambito del nucleare, delle energie alternative e del risparmio energetico.
La posta in gioco è troppo alta per permettersi indugi o tentennamenti. Gli ingegneri, i fisici ed i chimici italiani continuano con impegno ad essere in prima linea per limitare i pericoli ed i danni.

Di Carlotta Sermoneta, studentessa dell’Istituto di Istruzione Superiore “Carlo Urbani” sede di Acilia

Redazione

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