Pasquino e pasquinate

Se tra mille città dovessimo individuare Roma, di certo non avremmo così grandi difficoltà, data la sua maestosità architettonica e il folklore storico della sua gente. Ciò che caratterizza Roma, infatti, è la sua unicità.

Molte sono, però, le sue curiosità, che hanno inciso moltissimo sulla storia della sua cultura. Una di queste era la presenza e l’importante funzione delle “statue parlanti” nella società romana.

Ai tempi della Roma papalina agl’inizi dell’età moderna molte erano le statue parlanti che fungevano da portavoci del popolo contro il potere temporale della Chiesa, che era ricaduta per l’ennesima volta nel turbinio della simonia, della vendita delle cariche ecclesiastiche e del concubinaggio. Insomma, una Chiesa lontana anni luce da sorella povertà. In tutta risposta, il popolo romano si sfogava contro gli alti prelati della Curia romana attraverso scritte satiriche che venivano poste al collo delle statue.

Le statue parlanti si potevano incontrare in diversi punti di Roma, soprattuto nei pressi delle aree dell’artigianato romano, e ciascuna di esse portava un nome, che dava poi la denominazione alla piazza o alla via dove era collocata, come la statua del babuino, che ha dato il nome alla via omonima che si estende parallelamente a via del Corso e via della Scrofa.

Pasquino è l’unica statua superstite ancora presente a Roma dopo poco più di 500 anni di attività, dove ancora oggi vengono poste le sue pungenti “pasquinate” in una bacheca a fianco alla sua statua di marmo, non più ai piedi del piedistallo come da tradizione per via del restauro effettuato nel 2009. E’ la restante parte di un’opera in marmo del III a.C., precedentemente composta da due guerrieri, probabilemente Menelao che sorregge il corpo morente di Patroclo, colpito da Ettore nella guerra di Troia. A ritrovare la composizione marmorea nel 1501 nei pressi dello stadio di Domiziano fu il cardinale Oliviero Carafa, il quale aveva comprato l’edificio della famiglia Orsini (oggi noto come Palazzo Braschi), che si affacciava allora su piazza di Parione. Il cardinale fece sistemare la statua su di un piedistallo all’angolo del suo nuovo palazzo, che ribattezzò successivamente il nome di piazza Parione in piazza di Pasquino, nome la cui provenienza ci è ancora ignota. Probabilmente poteva esser riferito ad un oste, ad un barbiere, ad un maestro di scuola o ad un ciabattino che si chiamava, appunto, Pasquino e che svolgeva il proprio mestiere nelle vicinanze.

L’attività insurrezionale di Pasquino, che si limitava solo a sbeffeggiare i poteri forti, fu fortemente osteggiata dai papi dell’epoca, i quali tentarono a più riprese di far tacere la statua parlante, ma senza successo(Papa Benedetto XIII era addirittura arrivato ad emanare un editto che garantiva la pena di morte, la confisca di beni e l’infamia per chi fosse stato scoperto a produrre e pubblicare pasquinate illegalmente).

Nonostante le pasquinate incontrarono un periodo di “buio” a seguito dell’annessione di Roma al nuovo Regno d’Italia con la breccia di Porta Pia , la loro produzione non si arrestò completamente. Ciò comportò successivamente una nuova, anche se meno preponderante, infiorescenza durante il secolo successivo, riportando agli antichi fasti Pasquino con nuove e quotidiane pasquinate che satirizzano tutt’oggi su temi di politica nazionale e a volte sui problemi amministrativi della Capitale, riportando in auge una delle più eleganti tradizioni del popolo romano di fare “rivoluzione”.

Di Francesco Giacomo Riu

Francesco Riu

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