I “non” poeti moderni

A tutti nella vita sarà sicuramente capitato di leggere un’opera di qualche poeta più o meno famoso e chiunque l’avrà saputa apprezzare per il significato, il messaggio intrinseco, per le parole o per la musicalità dei versi.
“Il mondo contemporaneo è certa¬mente il più inadatto dei mondi possibili per la poesia, perché è il mondo della chiacchiera, del frastuono, dello svilimento in¬calzante del senso” sosteneva negli anni Novanta Giancarlo Pontiggia, poeta e critico letterario in La parola innamorata. Poeti nuovi, edito da Feltrinelli. Eppure, appare evidente a tutti che proprio alla poesia è stato da sempre affidato il compito di esprimere la nostra scombinata esistenza ed i suoi temi: il tempo, il senso dell’esistere, gli affetti. Sono stati proprio i grandi poeti Novecento a delineare l’uomo moderno più di quanto lo abbia fatto la narrativa. Altri tempi si sa ed altre coordinate mentali.
Con il trascorrere dei decenni, infatti, quest’arte ha trovato ben pochi fruitori. Tanti i poeti e pochi i lettori di poesia. Questa la sconfortante situazione che perdura.
Consapevolmente e non oggi, più che leggere poesie, ascoltiamo canzoni scritte da cantautori che possono anche essere definiti “poeti” per il significato delle parole che scrivono e per il messaggio che vogliono trasmettere. Non bisogna affermare, comunque, che ogni cantante sia un poeta moderno, perché non tutte le canzoni lanciano un messaggio. Ciò perché è difficile comunicare qualcosa a chi ascolta una determinata canzone per vari motivi: il più classico è che la gente sente e non ascolta. Tutti siamo in grado di mettere in riproduzione dal cellulare una canzone e sentirla: ascoltarla, però, significa distinguere ogni parola dalla base musicale e riuscire a trovare significati o fatti veri e profondi. Non tutti gli artisti hanno questo “STILE” e di conseguenza non tutti i generi. Il RAP sì.
Nato negli Usa, precisamente a New York, attorno agli anni ‘70 il Rap ha spopolato in poco tempo e verso gli anni Novanta è arrivato anche in Italia, grazie a Lorenzo Jovanotti, per poi essere proposto anche da autori come Neffa. Nel nostro Paese il rapping si è evoluto, anche se oggi sta perdendo l’originario scopo di “discutere in modo informale”, di fatti o situazioni sociali controverse. Nei primi anni, in Italia, grandi rapper erano gli ARTICOLO31, CAPAREZZA, FABRI FIBRA, il già citato NEFFA e qualche altro artista non famoso.
Gli Artocolo31 con rime, allitterazioni e metafore raccontavano, per la prima volta, ciò che succedeva tutti i giorni alla gente comune e molti si ritrovarono in questo genere che da semplice veicolo di “condivisione di interessi delle persone” ha cominciato trasformarsi in strumento di denuncia di fatti più forti, di politica o addirittura di omicidi, per fare qualche esempio. Ciò anche grazie a Fabri Fibra, rapper di Senigallia, in molte occasioni criticato per il suo stile crudo e troppo volgare. Il suo è apparso, però, l’unico modo per passare messaggi alle persone quasi in maniera forzata. A lui si sono uniti altri artisti del genere come SALMO che, comunque, non ha mai accentuato troppo gli argomenti citati in precedenza.
Oggi non si ha la possibilità o la voglia di leggere i grandi romanzi o le poesie di denuncia che i movimenti letterari fin dalla fine dell’Ottocento proponevano. Niente Realismo, Naturalismo o Verismo. Forse, però, Rimbaud, Yeats o Baudelaire aleggiano nelle canzoni d’autore o nelle denunce dei rappers. Sono solo canzonette? No, se Bob Dylan ha vinto il premio Nobel per la Letteratura.

Di Leonardo Velotta, studente dell’Istituto di Istruzione Superiore “Carlo Urbani” sede di Acilia

Redazione

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