Mogli, madri o donne in carriera?

Dagli anni Cinquanta in poi, il fenomeno più significativo che riguarda la famiglia è la nascita di una nuova figura di donna: quella che, alla funzione di moglie e di madre, aggiunge la carriera. Un recente profilo professionale della donna realizzato a cura del CRORA (Centro di Ricerca sulla Organizzazione Aziendale) dell’Università Bocconi di Milano evidenzia le notevoli dimensioni di quest’evoluzione sociale.

Le indagini demoscopiche della Computel, commissionate fin dagli anni Ottanta dalla rivista L’Europeo e recentemente dalla rivista L’Espresso, tralasciando aride cifre, hanno fotografato che anche in Italia il fenomeno è reale ma il prezzo che le donne pagano è salato. E si esprime in termini di stress, vita sociale, tempo per sé stesse, per i figli, per il compagno. Non solo ma cade pure un altro mito: le donne lavorano più dei loro partner “maschi” e delle casalinghe. Secondo i dati Istat 2016, le ore di lavoro domestico per l’uomo non superano le 6 settimanali, mentre la donna che lavora fuori casa aggiunge alle 40 ore di lavoro in ufficio o in fabbrica, una media di 32 ore di lavoro settimanale domestico, per complessive 72 ore settimanali.
Per contro, una casalinga lavora “solo” 51 ore a settimana e l’uomo medio 46,3.
Che l’Italia sia una Repubblica che si basa sulle babysitter, le donne a ore e i nonni? Quasi.
“E per di più non ci è nemmeno permesso di scaricare queste spese dalle tasse”, ironizza Maria Nessichelli, 31 anni, avvocato di Ostia. Il marito medico ha vinto da poco un concorso all’ospedale di Vasto. Pochi amici. Nessun divertimento. L’amministrazione della casa, la spesa, le bollette, sbrigati in fretta e furia tra le otto e le nove del mattino. Spazio per sé, zero. E lo stipendio che se ne va tutto in babysitter. La vita di Maria è questa.
Non c’è da stupirsi se la scelta della maternità abbia quasi il sapore di una militanza. Una militanza a cui le donne italiane, però, si sottraggono in poche. Arrivandoci, magari, dopo i 40 anni.
“E poi c’è l’ansia, un’ansia tremenda. E un senso di colpa che non finisce più, all’idea di non esserci sempre e comunque”, confessa Paola Sperlari, 36 anni, commessa di “Mondo Convenienza” sulla Statale Pontina, sposata e con un figlio di sette anni che affida ai nonni paterni fino al suo rientro a casa, sulla via Cassia.
L’emancipazione si paga anche con rapporti difficili, convivenze impossibili. Mariti e fidanzati restano poco disponibili al cambiamento, defilati e refrattari al lavoro domestico. Nei confronti della carriera di lei hanno spesso un atteggiamento da Ponzio Pilato, non ostacolano ma non favoriscono nemmeno. Assistono e basta.
Cinque donne su dieci non sono soddisfatte della divisione dei compiti e delle responsabilità col partner ma, per quieto vivere, compensano le mancanze di lui con uno sforzo estremo al rientro dal lavoro.
Al lavoro, ma con la mente rivolta a casa. A casa, ma con la spiacevole sensazione di non aver fatto abbastanza, sul lavoro.
Il primo conflitto della superdonna italica è qui. E per amici fedeli… mal di stomaco e mal di testa, tormenti quotidiani da aggiungere alla lista nera, perché le donne “somatizzano anche l’anima”. E per questo sono spesso derise dai compagni pantofolai, una volta tolti i panni da superlavoratori rientrati sfiniti dal lavoro.
E le donne in carriera, comunque mogli e madri, continuano la loro scalata metaforica e reale della vita. Talvolta, si scoraggiano e si lamentano. Poi, fiere ed ottimiste, ricominciano la corsa.
Di “tornare a stare a casa”, come provocatoriamente proponeva alla fine degli anni Settanta la femminista Christiane Collange, non se ne parla proprio più.

Di Carlotta Sermoneta, studentessa dell’Istituto d’Istruzione Superiore “Calo Urbani”, sede di Acilia

Redazione

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