La Nave non è pronta ad affondare: i primi lavori dopo l’erosione a Fregene Sud

Si sente ancora il vento che accarezza i capelli, la sabbia che sfiora le dita ad ogni passo, ma ci sono i camion, all’ingresso.
Ci sono pezzi di metallo, pezzi di ferro, lastre di cemento a starsene sdraiati sulla riva del mare. Il suono delle onde che si infrangono, che fanno giravolte su loro stesse, che gareggiano per arrivare prime alla spiaggia, non si sente più, se non a piccoli tratti. È coperto dal rumore delle gru. Delle scavatrici e dalle ruspe che lavorano, tentando di salvare il salvabile. Così appare lo storico stabilimento di Fregene, ‘La Nave’, come uno scenario di guerra o, forse meglio, da dopoguerra. Così come territorio postbellico sembra tutta la lingua di spiaggia che dal canale vicino allo stabilimento ‘La Perla’, arriva fino a ‘La Nave’. Lingua di spiaggia, lunga oltre un chilometro, coperta da pesanti sacchi bianchi pieni di sabbia, schierati come un esercito si schiera di fronte alle linee nemiche, unico umile baluardo contro l’erosione.
Ma quando gli attacchi vengono dalla natura, non c’è esercito che tenga. Quando gli attacchi vengono dalla natura, non si può far altro che perdersi a ripetere e sentir ripetere la solita cantilena: “Ci si doveva pensare prima”.
Gli stabilimenti della costa Sud di Fregene stanno pagando il caro prezzo delle azioni (e delle non-azioni) umane. Le motivazioni sono principalmente due.
La prima non riguarda solo questo territorio ma è globale. Il 2016 è stato valutato come l’anno più caldo di sempre dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale, ente dipendente dalle Nazioni Unite. Gli studi denotano come l’ingente quantità di acqua che invade le coste, più o meno violentemente, dipenda dall’innalzamento del livello del mare, che a sua volta è dovuto allo scioglimento dei ghiacciai, che a sua volta è causato dall’aumento globale di temperatura, salita a 1.2 gradi rispetto alla media dell’era pre-industriale. A concludere la macabra catena di eventi, al primo anello, ci sono le industrie, l’inquinamento atmosferico, i gas serra e molte altre cause che hanno la loro origine da noi.
La seconda motivazione è invece di raggio più circoscritto ed ha una storia cominciata quasi due anni fa che vede protagonisti il progetto e l’avvio della costruzione del ‘Porto della Concordia’ a Fiumicino. Ambientalisti ed altri cittadini dediti alla tutela del territorio, riuniti sotto le organizzazioni ‘No-Porto’, avevano previsto che la messa in opera di un simile lavoro avrebbe minato non solo il territorio ed il patrimonio paesaggistico circostante, mangiando notevoli aree naturali e pezzi di spiaggia, ma avrebbe avuto ripercussioni ben più gravi, dando via all’espansione dell’erosione che, con un effetto domino, avrebbe perpetrato i suoi attacchi viaggiando verso nord lungo il litorale.
Così, come quando si attacca un esercito e l’esercito risponde, l’uomo ha attaccato la natura e la natura ha risposto. Le tessere del domino ‘Erosione’ si sono presentate al sud di Fregene, durante il maltempo dei mesi scorsi, ed hanno fatto crollare i primi stabilimenti.
A ‘La Nave’, dove i danni sono stati tra i maggiori, sono cominciati i lavori ed oggi, le docce con cui ci si puliva dalla salsedine durante i caldi mesi estivi, sono state estirpate dal mare e giacciono abbandonate dietro alti cumuli di sabbia come guerrieri morenti caduti dietro le trincee, mentre la tipica balconata dove si gustavano romantici tramonti, è completamente sommersa dalle acque.
Dove una volta scorreva il mare, oggi scorrono gru e lastre di ferro.
Il destino de ‘La Nave’ non è quello di affondare, ma quello di viaggiare verso la rinascita e prendere, come passeggera, Fregene tutta e farla ripartire ancora più bella e forte di prima.

Di Gabriele Pattumelli

Redazione

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